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Dipendenza affettiva: quando l’amore è tossico

Da alcuni giorni le vetrine si sono riempite di cuori e rose rosse e i media non fanno altro che ricordare quanto sia importante celebrare l’amore con un regalo, un cioccolatino, un pensiero (www.lastampa.it). I giorni che precedono e seguono alla giornata che ricorda San Valentino, però, non rappresentano sempre un’occasione di festa e romanticismo; ciò non solo per chi è single. È proprio in occasione di questa ricorrenza che molte persone “innamorate” si confrontano con i silenzi, le incomprensioni e i fallimenti della propria coppia. Essere in coppia, costruire e vivere giorno per giorno una relazione, non significa sempre stare bene e sentirsi appagati, ma gestire delicati equilibri e faticosi compromessi oltre che, qualvolta, affrontare delle crisi. In alcuni casi, però, il malessere può caratterizzare e significare profondamente una relazione d’amore. Quest’ultima può essere vissuta come una condizione di stress continuativo, intervallato da brevi intervalli di benessere, oppure come una gabbia/trappola da cui è impossibile uscire. Questa, spesso, è la condizione di chi è affetto da dipendenza affettiva, ovvero di chi vive uno stato continuo di allerta e ansia dovuto alla paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine e del tradimento.

Per i dipendenti affettivi il partner assume un ruolo centrale, predominante nella propria vita: gli unici momenti di “benessere” sono associati alla sua presenza, al contrario, in sua mancanza si possono vivere stati di frustrazione, agitazione e, addirittura, disperazione (www.benessere.com).

È in tal senso che l’amore può essere paragonato ad una vera e propria droga: si può parlare di piacere, euforia, ebbrezza in associazione alla compagnia del partner (effetto dell’assunzione della sostanza); di  tolleranza, in merito al bisogno di aumentare la quantità di tempo (di dose della sostanza) da trascorrere con lui; di astinenza, per il senso di agitazione e di angoscia (sintomi derivanti dalla mancanza della sostanza) che subentra in assenza del partner e, infine, di “carving”, ovvero del bisogno compulsivo di parlare, stare con il partner (necessità di riassumere la sostanza) (Giddens, 1992).

Chi è affetto da dipendenza affettiva ritiene che, occupandosi sempre dell’altro, la propria relazione diventi stabile e duratura. Il dipendente affettivo, infatti, dedica tutto sé stesso al partner. Ogni gesto, decisione o pensiero, è fatto in funzione del partner o della relazione stessa. I propri bisogni e desideri sfumano, vengono messi in secondo piano, e, in alcuni casi, si perde completamente il contatto con questi ultimi e con la propria individualità (www.stateofmind.it).

La caratteristica che accomuna tutti i rapporti dei dipendenti d’amore è la paura cambiare. Ciò impedisce lo sviluppo delle capacità individuali, dell’autonomia e della relazione stessa.

Ma la dipendenza affettiva può manifestarsi attraverso diverse modalità: si è ossessionati e legati ad un partner distanziante, non disponibile, con la speranza di conquistarlo; si controlla il partner attraverso “la seduzione”, attraverso un controllo attivo, pur apparendo poco interessati all’altro; si può rimanere attaccati alla relazione, pur non amando più il partner, per paura di rimanere soli.

Infine c’è chi è scisso tra il desiderio di stare in coppia, di innamorarsi e la paura dell’intimità. Tale ambivalenza porta a relazioni dolorose, al desiderio di persone non disponibili o al rimanere intrappolati in un mondo di fantasie e illusioni.

Per quanto la dipendenza affettiva non sia annoverata nel DSM V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali) e sia una condizione difficilmente “diagnosticabile”, comporta disagi psichici importanti, che possono inquinare diverse aree di vita della persona. In primis, a essere compromessa è la capacità di “essere in una relazione”, la capacità di amare senza essere terrorizzati costantemente dall’abbandono.

Diversi studi e teorie riconducono la dipendenza affettiva all’incapacità di aver interiorizzato dentro di sé la presenza dell’altro, quindi di sentirsi al sicuro nella relazione. Questa mancanza ha le sue radici nelle relazioni precoci tra bambino e caregiver, in comunicazioni ambigue e in modelli educativi troppo rigidi.

Per modificare uno schema relazionale che si è rivelato fonte di sofferenza, disequilibrio e relazioni tormentate, innanzitutto, occorre rendersi consapevoli del proprio disagio. L’aiuto di uno psicologo/psicoterapeuta può permettere di scoprire come si siano strutturati schemi relazionali disfunzionali, risolvere i conflitti che sono alla base e, soprattutto, creare le condizioni emotive perché si possa crescere e costruire relazioni sane e gratificanti (lamenteemeravigliosa.it).

Come procedere

Se senti di avere necessità di una Consulenza in ambito Individuale, piuttosto che di Coppia o Familiare, puoi fissare un appuntamento contattando i numeri 06 92599639 o 388 8242645, o puoi scrivere all’indirizzo e-mail info@massimocanu.it

In caso di impossibilità a poter raggiungere lo Studio, in Roma, potrai fare altrettanta richiesta per una prestazione On-Line, avvalendoti della piattaforma web appositamente realizzata. E’ intuitiva, rapida e sicura.

A conclusione di tale fase consulenziale, sia in Presenza che On-Line, sarà definito quanto emerso nel corso del lavoro e, eventualmente, saranno focalizzati gli obiettivi per l’avvio di una Psicoterapia, la quale potrà essere Individuale, di Coppia o Familiare.

Chiedere aiuto è un segno di forza e, soddisfare i tuoi bisogni psicologici, equivale a compiere il più importante atto d’amore che possa fare verso la tua persona, ancor prima che per coloro che condividono la loro vita con te.